Notizie Storiche

La Basilica di Santa Croce , chiesa conventuale dei padri Celestini, fu eretta a partire dal 1549, ma i lavori proseguirono per quasi un secolo, secondo la testimonianza che si può ricavare dal cartiglio posto accanto al rosone centrale recante la data 1646. Il nuovo impianto basilicale, sorto in prossimità di una delle porte urbiche della città, porta San Martino, era destinato ad incarnare tutti gli aspetti tipici della nuova fiorente arte della città, tanto da divenire, sei secoli successivi, il vero simbolo del barocco leccese. Alla sua costruzione parteciparono tutti i più grandi architetti della Lecce cinquecentesca e seicentesca, permettendo così di ottenere un palinsesto unico per bellezza e varietà di stili.
L’impianto generale della basilica fu redatto da Gabriele Riccardi, il quale ultimò l’ordine inferiore della chiesa nel 1582 e a cui si ascrive l’interno trinavato dell’aula liturgica.
I lavori proseguirono a partire dal 1606 sotto la direzione di Francesco Antonio Zimbalo, che aggiunse alla facciata tardo cinquecentesca i portali recanti le armi dei Brienne, dei D’Enghien e di Filippo III° di Spagna. Il portale principale, in particolare, è incorniciato da un protiro a colonne binate di pregevolissima fattura, poggiate su un basamento ruotato di 45° che introduce nella calma facciata inferiore un elemento di movimento, tipico del barocco. Sempre di questi anni è lo straordinario fregio cristologico e il cartiglio che indica la dedicazione della chiesa “a Dio e al Vessillo della Croce”.
Il riferimento alle famiglie di Brienne e D’Enghien, signori della Contea di Lecce, è un esplicito richiamo alla precedente chiesa di Santa Croce, eretta nel XIV secolo fuori dalla mura urbiche su commissione proprio dei Brienne D’Enghien per custodire le reliquie della Vera Croce, e poi abbattuta per volere di Carlo V d’Asburgo per permettere l’ampliamento del castello e potenziare, in tal modo, la difesa di Lecce sul versante che guarda al mare.
La ripartizione con il secondo ordine è delimitata da una straordinaria balaustra sorretta da tredici telamoni raffiguranti le diverse culture e i diversi popoli, significando, in tal modo, la cattolicità universale della Chiesa. Al di sopra della balaustra appaiono, quasi danzanti, altrettanti puttini recanti le insegne del potere temporale e spirituale.
Il fiammeggiante ordine superiore è opera di Cesare Penna, che iscrive in un quadro incorniciato da due colonne, terminanti con capitelli con motivi cristologici, un rosone di chiara derivazione romanica, ma riadattato alle esigenze decorative del barocco. Ai lati del rosone, in due nicchie, sono allocate le statue di San Benedetto e di San Celestino V°. Le personificazioni delle virtù concludono longitudinalmente l’impianto del secondo ordine. Ai lati del rosone due leoni reggono un cartiglio con la data 1646.
Il fastigio è a sua volta separato dal secondo ordine con un’altra ricercata cornice recante il nome dell’abate Nicola. Il disegno del fregio è di Giuseppe Zimbalo, detto “lo Zingarello”, sicuramente uno dei protagonisti indiscussi della rinascenza artistica leccese, e a sua volta figlio di Francesco Antonio.
Il fregio, che riproduce il tema del timpano spezzato, modulato con le mezze volute, contiene la summa dell’intera facciata: il trionfo della Croce, ormai gigliata, simbolo della vittoria finale della vita sulla morte, illumina la storia e la vicenda di tutti gli uomini che cercano Dio e completa la ricca narrazione espressa dalle figure delle decorazioni precedenti.
L’intera facciata della basilica costituisce, quindi, una sorta di catechesi iniziale prima di accedere all’interno della stessa, permettendo al fedele di avvicinarsi, attraverso un percorso fatto di simboli, al mistero della Croce, il cui legno è ancora oggi visibile nell’altare costruito da Cesare Penna nel 1639.
L’ordine dei Celestini amministrò la basilica, risiedendo nell’attiguo palazzo, fino al 13 febbraio 1807, quando le leggi emanate da Giuseppe Bonaparte decretarono la soppressione definitiva degli ordini monastici nel Regno di Napoli.
Incamerata dallo Stato, l’intero complesso fu sede di pubblici uffici. A tutt’oggi, il palazzo dei Celestini ospita la sede della Prefettura e del governo della Provincia.
Negli anni della soppressione, la chiesa perdette il suo altare maggiore, traslato nella cattedrale, e gran parte dei suoi arredi liturgici.
A partire dal 1833, dopo la Restaurazione, la chiesa fu affidata alla Confraternita della Santissima Trinità dei Pellegrini, che in quegli anni lasciava la sua sede storica presso l’Ospedale – Ospizio di S. Giovanni di Dio, e che appena insediata intraprese un primo programma di restauro e di risistemazione di alcuni altari.
Nel 1906 il Consiglio Superiore delle Belle Arti dichiarò la chiesa di S. Croce a Lecce “monumento nazionale.” Sempre nello stesso anno, il papa Pio X la innalzava al rango di Basilica Minore.
Il 1° Novembre 1918, il vescovo Gennaro Trama istituiva la nuova parrocchia dedicata alla Ss.
Trinità con sede nella basilica.
Nel 1956, in occasione del XV Congresso Eucaristico Nazionale, su iniziativa del vescovo Francesco Minerva, fu dotata di nuovo altare maggiore, traslando quello della chiesa dei Santi Niccolò e Cataldo.
Divenuta simbolo ed emblema non solo artistico dell’intera città di Lecce, la basilica è stata oggetto di diversi interventi che hanno mirato a custodirne la bellezza. Un primo intervento consistette nell’erezione di una cortina muraria di protezione della facciata, durante la II° guerra mondiale, in modo da preservarla da eventuali schegge di granate. Liberata dalla cortina, fu soggetta ad un primo intervento di restauro generale nel 1957, e ad un secondo, più invasivo, del 1980. Un ultimo intervento di pulitura è stato effettuato alla fine degli anni ’90, in concomitanza del Grande Giubileo del 2000.