Illustri Autorità Civili e Militari,
Cari Rappresentanti della Regione, della Provincia e del Comune di Lecce,
Signor Sindaco,
Fratelli e Sorelle,
siamo raccolti in questo maestoso Tempio per confessare con rinnovata fede che Cristo è il Messia annunciato dai profeti, consacrato dall’unzione dello Spirito di Dio, mandato nel mondo dal Padre per instaurare l’era nuova e definitiva della salvezza, compiuta sul legno della Croce.
Io, per primo dunque, mi prostro dinanzi a Gesù Crocifisso e proclamo che senza di Lui non vi è alcun bene, e senza il suo amore, persino la stessa vita umana è priva di senso e significato.
Riconosco, anche a nome dei fedeli affidati alle mie cure pastorali, che ogni uomo ha bisogno di essere salvato. Lo ammetta o non lo ammetta, ogni essere umano appartiene alla categoria dei poveri, dei ciechi e degli oppressi. Egli deve infatti fare i conti con la povertà radicale della sua condizione di creatura, stretta fra limiti di ogni sorta; egli deve altresì brancolare fra le dense ombre che ostacolano il cammino sul quale s’affatica la sua intelligenza assetata di verità; egli soprattutto sperimenta i vincoli pesanti d’una fragilità morale, che lo espone ai più umilianti compromessi.
L’uomo è prigioniero del male, lo riconosciamo senza ipocrite tergiversazioni. Al tempo stesso, però, noi testimoniamo davanti al mondo l’Evento glorioso che ha segnato la svolta decisiva nella storia dell’umanità: Cristo “messo a morte per i nostri peccati, è stato risuscitato per la nostra giustificazione” (cf. Rm 4, 25). In Cristo Signore, l’uomo è liberato dalle sue molteplici schiavitù ed è ammesso alla gioia della piena riconciliazione con Dio. Oggi, allora, guardando la Croce, siamo chiamati ad essere prolungamento dell’umanità di Gesù.
2. Questo è il senso profondo di questa celebrazione in onore della Croce: oggi la Chiesa si pone con più intensa adorazione e gratitudine ai piedi del suo Signore, per contemplare il “segno dei chiodi” e la ferita del “costato” (cf. Gv 20, 20. 25. 27) e riconoscere nel Sangue sgorgato da quelle divine scaturigini il “lavacro” che l’ha “purificata”, togliendole ogni “macchia, ruga o alcunché di simile” e rendendola “santa e immacolata” (cf. Ef 5, 26-27).
In fondo ogni Celebrazione eucaristica porta con sé questa coscienza ravvivata della Redenzione operata da Cristo e il conseguente, acuito desiderio di poter attingere più abbondantemente all’onda purificatrice del Sangue da lui versato sulla Croce.
Lungo la storia, la celebrazione di questa ricorrenza, legata al rinvenimento della Croce del Signore da parte di S. Elena la madre dell’imperatore Costantino, è stata vissuta sempre con maggior solennità e slancio. Le sue origini risalgono al 14 settembre del 335, allorquando lo stesso Imperatore volle costruire a Gerusalemme ben due Basiliche, quella del Golgota e quella del Santo Sepolcro.
Guardando al Crocifisso, vero Innocente condannato dalla nostra malvagità, non abbiamo paura di richiamare gli uomini di oggi alle loro responsabilità morali! Tra i tanti mali, che affliggono il mondo contemporaneo, quello più preoccupante è costituito da un pauroso affievolimento del senso del male. Per alcuni la parola “peccato” è diventata un’espressione vuota, dietro la quale non devono vedersi che meccanismi psicologici devianti, da ricondurre alla normalità mediante un opportuno trattamento terapeutico. Per altri il peccato si riduce all’ingiustizia sociale, frutto delle degenerazioni oppressive del “sistema” ed imputabile pertanto a coloro che contribuiscono alla sua conservazione. Per altri, ancora, il peccato è una realtà inevitabile, dovuta alle non vincibili inclinazioni della natura umana e non ascrivibile perciò al soggetto come personale responsabilità. Vi sono, infine, coloro che, pur ammettendo un genuino concetto di peccato, interpretano in modo arbitrario la legge morale e si allineano pedissequamente alla mentalità permissiva del costume corrente.
La considerazione di questi diversi atteggiamenti rivela quanto sia difficile arrivare a un autentico senso dei peccato, se ci si chiude alla luce che viene dalla Parola di Dio. Quando si poggia unicamente sull’uomo e sulle sue limitate e unilaterali vedute, si raggiungono forme di “liberazione” che finiscono per preparare nuove e spesso più gravi condizioni di schiavitù morale. È necessario rimettersi in ascolto della Parola con la quale Dio pone dinanzi a noi “la vita e il bene, la morte e il male” e ci invita a “camminare per le sue vie, ad osservare i suoi comandi, le sue leggi e le sue norme”, così da poter giungere alla vita, noi e quanti verranno dopo di noi (cf. Dt 30, 15 ss.).
Carissimi, facciamo il nostro esame di coscienza davanti alla Croce, riconosciamo che non sempre abbiamo attuato bene, ma anche noi ci siamo lasciati attrarre dal peccato. Oggi, Gesù ci guarisce e ci orienta nuovamente sulla via del bene.
Nel richiamare le coscienze dei fedeli ad un più vivo senso del peccato, noi dobbiamo altresì proporre loro l’annuncio della misericordia, che Dio ci ha testimoniato nel dono del proprio Figlio. Come non sottolineare, a questo proposito, l’esempio paradigmatico che ci è offerto dalla catechesi di Pietro nei discorsi al popolo di Gerusalemme e ai membri dello stesso Sinedrio? L’Apostolo Pietro richiama ognuno di noi alle sue responsabilità dinanzi alla morte di Gesù: “Voi l’avete ucciso appendendolo alla croce” (At 5, 30). L’imputazione del peccato è senza mezzi termini; ma altrettanto chiaro e immediato è l’annuncio del perdono: “Dio lo ha innalzato con la sua destra facendolo capo e salvatore, per dare ad Israele la grazia della conversione e il perdono dei peccati” (At 5, 31).
Facciamoci allora messaggeri particolarmente solleciti dell’impazienza con cui Dio desidera riabbracciare, nel Figlio unigenito, i figli adottivi che si sono allontanati da lui. Facciamoci ministri della misericordia di Dio per un’autentica crescita delle nostre Comunità. Coloro che sanno rientrare in se stessi sentono infatti “la necessità di essere perdonati per imparare a perdonare, la necessità di recuperare la vita divina per essere difensori e promotori della vita in tutte le sue manifestazioni e, infine, la necessità di essere ricondotti nella comunione col Padre per essere costruttori di comunione vera, senza esclusioni di sorta e senza limitazione alcuna”.
Costruttori di comunione. Come non riandare col pensiero a quelle ardite espressioni con le quali sant’Agostino si rivolgeva ai suoi cristiani: “Se voi siete corpo di Cristo e Sue Membra, il vostro “mistero” è posto sulla Mensa del Signore: ricevete allora il vostro mistero…. Siate ciò che vedete e ricevete ciò che siete” (S. Agostino, Sermo 272).
Sulla “mensa del Signore”, cioè sull’Altare, si rinnova l’oblazione sacrificale con cui Cristo ci ha redenti. Partecipandovi, i cristiani di tutti i tempi e di tutti i luoghi sanno di impegnarsi a condurre un’esistenza immolata, grazie alla quale potranno giungere, nell’ultimo compimento, al mattino pasquale della risurrezione.
Nel banchetto eucaristico il Pane è spezzato e dato, perché tutti se ne nutrano con rendimento di grazie. Sulla scorta di san Paolo (1 Cor 10, 6-7), la Chiesa ha sempre visto in tale mistero di comunione la sorgente dinamica della sua unità.
Anche noi, raccolti stasera in questa Basilica che custodisce le reliquie della Santa Croce, “spezziamo il Pane” in fraterna comunione di spiriti, proiettando lo sguardo del cuore verso la meta ove già sono giunti i tanti nostri fratelli, e preghiamo il Redentore del mondo perché “si ricordi della sua Chiesa, la liberi da ogni male, la renda perfetta nella carità e la raccolga dai quattro venti nel regno che le ha preparato” (cf. Didachè 10,5).
Conosciamo la nostra debolezza, ma confessiamo con le parole della Liturgia: “Sei tu, Signore, la forza dei deboli” e non ci abbattiamo per le difficoltà che ostacolano il nostro cammino, ma proclamiamo anzi con costanza: “Gustate e vedete quanto è buono il Signore; beato l’uomo che in lui si rifugia” (Ivi).
Dinanzi alla Croce, richiamiamo tutti al riconoscimento delle proprie colpe, per poter comunicare a ciascuno la gioia del perdono di Dio e invitarlo ad unirsi agli altri fratelli intorno alla “mensa del Signore”, ove nella partecipazione al “pane spezzato” si costruisce la Chiesa di Cristo. Offriamo ad ogni uomo e donna di buona volontà la possibilità di incontrarsi con Cristo e di scoprire nell’ “oggi” della propria esistenza la presenza salvatrice di Colui nel quale si sono adempiute tutte le Scritture.
Infine, un ultimo pensiero rivolgo ai responsabili, a diversi livelli, della cosa pubblica. Questa festa odierna deve spingere voi, cari amministratori, ad avere uno sguardo di predilezione verso i tanti “crocifissi” presenti sul nostro territorio: dai giovani disorientati agli anziani soli, dai poveri ai sofferenti, da coloro che sono afflitti dalle varie forme di dipendenza, a coloro che vivono nell’ignoranza. Abbiate a cuore il bene di tutti, cioè il bene comune, ma, in particolare, il bene degli ultimi e degli emarginati. La Chiesa è al vostro fianco e vi assicura il proprio sostegno, nella certezza che, per costruire la civiltà dell’amore, è necessario l’impegno di tutti.
Buon proseguimento di lavoro, dunque, a voi, rappresentanti della Regione e della Provincia e buon inizio a Lei Signor Sindaco e a tutta la Sua Giunta qui riunita. La Croce radiosa del Signore ci sia di luce e guida. Amen!